Un gruppo di ricerca dell’Università di Messina in collaborazione con l’Istituto per i processi chimico-fisici del Cnr e l’Università di Zurigo ha dimostrato che l’efficienza nella produzione di idrogeno verde tramite fotocatalisi dipende anche dalla disposizione dei legami idrogeno tra le molecole d’acqua in prossimità della sua superficie. Il lavoro dal titolo “Water Structure in the First Layers on TiO2: A Key Factor for Boosting Solar-Driven Water-Splitting Performances” è stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the American Chemical Society
Le caratteristiche dell’acqua possono influenzare in maniera significativa l’efficienza complessiva di produzione del cosiddetto idrogeno verde, cioè idrogeno generato in maniera pulita ed ecosostenibile tramite fotocatalisi. È quanto è emerso da uno studio condotto dall’Università di Messina, dall’Istituto per i processi chimico-fisici del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina (Cnr-Ipcf) e dall’Università di Zurigo e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica della Società americana di chimica Journal of the American Chemical Society.
In un processo fotocatalitico, si utilizzano energia solare, acqua e un fotocatalizzatore, per scindere le molecole d’acqua in idrogeno e ossigeno. Fino ad oggi, nella progettazione dei sistemi fotocatalitici, solo le caratteristiche chimico-fisiche del fotocatalizzatore sono state considerate elemento chiave per un’elevata resa di produzione di idrogeno verde. Per questo motivo, i ricercatori di tutto il mondo hanno fatto numerosi sforzi per sviluppare fotocatalizzatori stabili, economici ed efficienti. L’altro elemento indispensabile per la fotocatalisi, cioè l’acqua, è stato finora considerato semplicemente come un mezzo passivo in far avvenire la reazione chimica.
L’aspetto innovativo di questo lavoro è l’avere evidenziato come la produzione di idrogeno non dipende esclusivamente dalle proprietà del semiconduttore, ma anche, e in maniera cruciale, dall’organizzazione delle molecole di acqua nei primi layers a contatto con la superficie del fotocatalizzatore stesso.
Lo studio è stato condotto su uno dei fotocatalizzatori più attivi, cioè biossido di titanio (TiO2), nella sua forma pura e nella sua forma drogata con atomi di boro. Dal confronto dei test fotocatalitici è stato rilevato un tasso di produzione di idrogeno più elevato nel campione drogato. Utilizzando tecniche di spettroscopia IR e simulazioni avanzate su supercomputer è stato osservato che, in prossimità della superficie di TiO2 contenente atomi di boro, le molecole d’acqua si riorganizzano preferibilmente in catene lineari di dimeri, mentre una rete di strutture prevalentemente tetraedriche definisce l’arrangiamento delle molecole di acqua nel sistema in cui il boro è assente.
L’organizzazione delle molecole d’acqua in cluster di dimeri è dovuta al carattere idrofobico del fotocatalizzatore drogato, indotto dall’assenza di campi elettrici locali rispetto alla controparte non drogata. Questi fattori risultano determinanti nel favorire il trasferimento delle cariche all’interfaccia fotocatalizzatore/acqua e quindi nell’aumentare l’efficienza di produzione di idrogeno.
Idrofobicità ed elevati campi elettrici sono stati anche misurati in prossimità dei siti ospitanti il boro e identificati come fattori determinanti nel definire l’organizzazione delle molecole di solvente.
Il lavoro offre quindi una comprensione più profonda e dettagliata dei processi di attivazione fotocatalitica e apre nuove prospettive nella progettazione di materiali fotocatalitici capaci di modellare in maniera vantaggiosa l’organizzazione dell’acqua a livello molecolare e quindi di ottenere una maggiore resa di idrogeno verde. Nello scenario europeo di un’economia globale a zero emissioni di carbonio entro il 2050, questi risultati sono fondamentali per lo sviluppo di sistemi fotocatalitici innovativi e più efficienti per la produzione di idrogeno che favoriscono la transizione verso un sistema energetico più pulito e rispettoso dell’ambiente.
Il lavoro descrive i risultati della tesi di dottorato della messinese Rosaria Verduci, ottenuti durante i tre anni di corso dottorale in Advanced Catalytic Processes for using Renewable Energy Sources (ACCESS) attivo presso l’Università degli studi di Messina.
La ricerca è stata coordinata dai proff. Giovanna D’Angelo, Gabriele Centi e Siglinda Perathoner dell’Università di Messina. Importante è stato il contributo relativo alla parte computazionale dato dal Dott. Giuseppe Cassone del Cnr di Messina e dal Dott. Fabrizio Creazzo dell’Università di Zurigo.
Allo studio hanno anche partecipato il ricercatore Francesco Tavella, i e proff. Claudio Ampelli e Salvatore Abate dell’università di Messina e la prof. Sandra Luber dell’Università di Zurigo.