Le nuove tecniche di produzione dell’informazione e le competenze che il giornalista deve possedere per garantire un prodotto di qualità sono stati i punti più importanti che Giovanni Iozzia, giornalista professionista di origini siciliane ( è di Siracusa) ha trattato nel seminario tenuto nella Sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, dal titolo “Il giornalismo digitale per promuovere ricerca e conoscenza”, con la partecipazione di una nutrita rappresentanza degli studenti del Corso di laurea in Scienze dell’Informazione, comunicazione pubblica e Tecniche giornalistiche, del quale è coordinatrice la prof. Marianna Gensabella, presente all’incontro odierno.
Il seminario, terzo del ciclo di appuntamenti su “L’informazione, dall’analogico al digitale” – voluto dal prof. Francesco Pira, docente di Comunicazione pubblica e gestione degli Uffici Stampa – è stato condotto da Iozzia (attuale direttore di EconomyUp, una nuova iniziativa di informazione in collaborazione con il Politecnico di Milano, che sarà on line a fine maggio) con la maestria di chi ha nel suo bagaglio professionale una affermata esperienza (Capital, Chi, PanoramaEconomy, Corriere delle Comunicazioni, Libero, Panorama).
Dopo il saluto del Rettore, prof. Francesco Tomasello, che ha ricordato la sua giovanile passione per il giornalismo (“il povero Mauro De Mauro mi voleva giornalista”) Iozzia ha iniziato il suo intervento parlando delle nuove tecnologie“grazie alle quali il mestiere di giornalista oggi è molto facilitato, ma non bisogna dimenticare un pezzo scritto per il giornale cartaceo non può essere lo stesso di quello che va sul giornale on line, o diffuso dalla tv “.
Il giornalista ha poi spiegato perché l’industria editoriale è in crisi “in tutto il mondo, non solo in Italia”, a causa della minore raccolta pubblicitaria e della riduzione delle copie vendute, ma che si tratta pur sempre “di un’industria in evoluzione”, sulla quale ha molto influito l’arrivo di Internet (in Italia il primo sito risale a 25 anni fa), la cui “scoperta” ha prodotto effetti anche sulla professione giornalistica (cambio del rapporto con i lettori, aumento della responsabilità del giornalista, ricerca di un’informazione più qualitativa). Oggi, grazie alle nuove tecnologie, il giornalista è “misurato” continuamente, ed i “contatti” che il suo pezzo provoca tra i lettori sono il sintomo del gradimento non più della testata per la quale scrive, ma della sua stessa persona.
Iozzia, poi, ha accennato ai corsi per giornalisti che si tengono in America che non hanno più lo scopo di formare figue professionali monotematiche (cioè solo per giornali cartacei o radio, o giornali on line) bensì operatori in grado di padroneggiare contemporaneamente i vecchi, i nuovi ed i nuovissimi mezzi di informazione, quali internet, facebook e twitter.
Altri temi trattati da Iozzia sono stati “l’infografica”, molto diffusa negli States (dai quali escono nuove professionalità giornalistiche) e la nuova “agorà “ elettronica, cioè i blog, twitter, i socialnetwork, che riescono a cambiare i rapporti tra opinione pubblica e governi: “Siamo di fronte ad un mondo nuovo, una ‘tempesta perfetta’ che anziché diminuire aumenta gli spazi per l’informazione e le possibilità occupazionali per i giornalisti.
“Nel 2010 – ha affermato Iozzia – negli Usa i lettori dei giornali on line hanno superato quelli dei giornali di carta, ricordiamoci che i passaggi fondamentali della comunicazione sono stati due, quello dall’oralità alla scrittura e quello dalla scrittura all’on line”.
A conclusione del suo intervento Iozzia ha citato esempi di “editore improprio”, identificando in Steve Jobs, Google e Facebook gli esempi più eclatanti di queste nuove realtà comunicative, ribadendo il concetto che il mondo giornalistico del domani dovrà puntare sempre più sull’informazione di qualità e che il giornalista sarà tanto più bravo, quanto più in grado di aiutare il pubblico a raccontare delle storie, ricordando infine che in Olanda, solo pochi mesi fa, è nata una piattaforma che consente ai lettori di abbonarsi solo agli articoli di un determinato giornalista, da lui definito “journalist branding”.